Giustizia

Separazione consensuale: annullabile la clausola sui trasferimenti immobiliari

E’ annullabile la clausola del decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi che contiene disposizioni sulla divisione degli immobili.

Lo ha stabilito il Tribunale di Palermo con la sentenza depositata il 14.09.2017 qui sotto allegata.

Nel caso deciso, due coniugi avevano presentato ricorso per separazione consensuale presso il competente Tribunale e nelle condizioni di separazione avevano regolamentato anche la divisione della comunione e dei beni immobili detenuti in costanza di matrimonio. In seguito all’avvenuta omologa della separazione da parte del Tribunale erano emersi fatti che avevano determinato un minor valore degli immobili: essi, infatti, non potevano essere alienati così come si trovavano, in quanto in contrasto con disposizioni attenenti regole di edilizia pubblica.

La moglie, pertanto, aveva convenuto in giudizio il marito, chiedendo l’annullamento della clausola dell’atto omologato che disponeva in merito agli immobili nonché la corresponsione di somme di denaro, da un lato, a titolo di risarcimento del danno e, dall’altro, a copertura del mancato guadagno che non le era pervenuto per l’inalienabilità dei beni.

Il Tribunale ha osservato che l’omologa, di per sè, non può escludere l’esistenza di vizi della volontà delle parti, e pertanto devono trovare applicazione per la separazione consensuale omologata i rimedi contrattuali per i vizi del consenso.

Ha altresì rilevato che la separazione consensuale omologata, costituisce una fattispecie complessa, per cui il regolamento basato sull’accordo tra i coniugi (di natura privatistica) acquista efficacia giuridica solo attraverso il provvedimento di omologazione (di natura pubblicistica): nello specifico, la separazione consensuale omologata è essenzialmente costituita dalla volontà concorde dei coniugi di separarsi e la successiva omologazione assume una valenza di semplice condizione (sospensiva) di efficacia delle pattuizioni contenute in tale accordo.

Il Tribunale ha, pertanto, annullato solo la clausola relativa alla divisione dei beni immobili, lasciando inalterata l’efficacia dell’accordo dei coniugi in sé, con permanenza della proprietà comune dei beni, che gli stessi avrebbero dovuto regolare in separata sede.

Tribunale di Palermo, 14.09.2017

Tribunale di Palermo, 14-09-2017

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Processo penale: inammissibile il deposito telematico della lista testi

Il caso: il ricorrente in Cassazione chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale che lo ha dichiarato colpevole del reato di esercizio della caccia mediante richiami acustici a funzionamento elettromagnetico, e lo ha condannato alla pena di 1.000,00 euro di ammenda.

Con il primo motivo, lamentando la mancata ammissione dei testimoni indicati nella propria lista tempestivamente depositata a mezzo pec, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d), la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2: in particolare egli lamenta la mancata ammissione della lista dei testimoni depositata a mezzo PEC e la affermazione della sua responsabilità fondata esclusivamente su una prova documentale non genuina.

Gli Ermellini, in punto di deposito telematico della lista testi, ritengono infondata la doglianza sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • deve essere escluso che il “deposito” della lista testimoniale di cui all’art. 468 c.p.p., comma 1, possa essere effettuato con modalità diverse da quelle previste a pena di inammissibilità; in assenza di norme derogatorie o che comunque lo consentano espressamente, il “deposito” della lista testimoniale non può perciò essere effettuato con modalità telematiche (espressamente previste, invece, per il processo civile);
  • la trasmissione della lista a mezzo posta elettronica certificata onera la cancelleria che la riceve della attività di stampa e materiale deposito dell’atto con modalità nemmeno temporalmente scandite, con conseguente possibilità di ulteriore abbreviazione del termine previsto dall’art. 468 c.p.p., comma 1;
  • la lista testimoniale non è indirizzata solo al giudice, ma anche alle parti che possono chiedere di essere ammessi a prova contraria e devono essere messe in condizione di farlo: l’inesistenza, nel processo penale, di un fascicolo informatico impedisce alle altri parti di accedervi in tempo reale e consultare immediatamente gli atti depositati con modalità telematiche;
  • il “deposito telematico”, inoltre, necessita dell’indicazione di regole precise in ordine alle modalità e tempestività dell’adempimento che, previste per il processo civile, sono del tutto assenti in quello penale; pertanto, non è consentito alle parti, pubbliche e private, di effettuare comunicazioni o notificazioni a mezzo posta elettronica certificata, nè adempimenti previsti con modalità la cui osservanza è stabilita a pena di inammissibilità;
  • alla stregua del suddetto principio, è stato quindi affermato che nel processo penale alle parti private non è consentito:a) proporre istanza di rimessione in termini a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell’imputato (Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015);

    b) proporre ricorso per cassazione o appello perchè le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della posta elettronica certificata (Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016);

  • è stata ritenuta inammissibile anche l’impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l’uso della posta elettronica certificata, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., esplicitamente indicato dall’art. 309, comma 4, a sua volta richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, – e applicabili anche al pubblico ministero – sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC (Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015).
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