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FAQ Diritto Penale

Avviso di conclusione delle indagini preliminari

Ci sono diverse tipologie di reati previsti dall’Ordinamento e diverse sono le indagini svolte.

Uno dei casi è quando le persone vengono a conoscenza di essere indagate tramite l’elezione di domicilio regolato dall’art. 161 C.p.c.; altre volte attraverso gli arresti domiciliari oppure il sequestro di un oggetto.
ci sono casi in cuile persone non verranno mai a conoscenza di essere state indagate perchè viene disposta l’archivizione delle indagini prima ancora che il soggetto in questione possa essere a conoscenza della sua situazione di indagato.

L’avviso in questione può essere definito anche come una garanzia che l’indagato deve avere prima di diventare imputato. E’ un suo diritto.
Serve, oltre a rendergli noto, che un P.M. sta per esercitare l’azione penale nei suoi contronti, anche per avere il tempo di preparare la sua difesa prima che inizi il processo.
Ha anche il tempo di avanzare diverse richieste al P.M. stesso per indurlo a ripensarci oppure per indurlo a modificare l’ipotesi di reato.

Proprio per questo l’indagato insieme al suo avvocato difensore ha il diritto di prendere visione ed estrarre copia di tutti gli atti del fascicolo del P.M., di poter, nl termine di venti giorni, di produrre documenti, presentare memorie e di depositare le investigazioni difensive.
L’indagato può chiedere anche di essere sottoposto ad interrogatorio

E’ in questo momento che le parti necessarie per il processo cioè accusa e difesa entrino in contraddittorio.

Tale garanzie per l’indagato è necessaria e fondamentale.
A dimostrazione di questo sta il fatto che la richiesta di rinvio a giudizio ed il decreto di citazione sono nulli se non sono preceduti dall’avviso di parola.

Quali sono gli elementi costitutivi di un reato?

Il reato viene definito come “ogni fatto al quale l’ordinamento giuridico ricongiunge come conseguenza una pena criminale”.

I reati sono costituiti da:

elemento oggettivo
elemento soggettivo
L’elemento oggettivo è costituito da tre componenti: la condotta, l’evento e il rapporto di casualità.
Mentre la condotta è definita come un’azione oppure un’omissione tipizzai dalla norma che regola il reato, l’evento è di difficile inquadramento e per questo ci sono numerose tesi dottrinali.
L’evento può essere definito come l’effetto naturale della condotta umana. Non è necessario perchè la legge prevede reati prividi evento che vengono detti di pura condotta.
Il rapporto di casualità sussiste solo se la condotta ha determianto l’evento.
Diverse dottrine anche in questo caso: quella della condizio sine qua non, quella che si basa sulle leggi scientifiche universalie statistiche e qulla della casualità adeguata.

L’elemento soggettivo del reato, che può essere costitutito dal dolo, dalla colpa oppure dalla preterinterazione, si sostanzia nella volontà giuridica di delinquere.
Il dolo sussiste quando il soggetto è colpevole dell’evento, quando pone in essere al condotta: volontà dell’azione e consapevolezza degli effetti.

La colpa, a differenza del dolo, sussiste quando il soggetto, non ha voluto il verificarsi ell’evento pur ponendo in essere la condotta con volontà. Questopuò accadere per negligenza (colpa generica), per inosservanza di leggi e regolamenti (si parla di colpa specifica).

La preterintenzione sussiste quando il delitto è commesso oltre l’intenzione. Il C.P. disciplian soltantol’omocidio preterintenzionale che sussiste quando si cagione la morte dell’offeso con atti diretti a percuotere o a produrre lesioni.

Qual’è la differenza tra corruzione e concussione

Entrambe sono delitti contro la Pubblica amministrazione commessi dai Pubblici Uffici oppure dagli incaricati in un pubblico.
Tali delitti sono disciplinati dagli articoli 357 e 358 del Codice Penale.Nella concussione, commessa da un Pubblico Ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, si abusa della propria qualità o dei propri poteri per indurre o costringere taluno a dare o promettere indebitamente denaro, a lui oppure ad un terzo.Nella corruzione, invece, è il pubblico Ufficiale che riceve per se stesso o per un terzo, denaro o altra utilità, che non gli è dovuta, che ne accetta la promessa.
Il delitto compiuto dal Pubblico Uffiale può prevedere omissione o ritardo di un atto del suo uffcio, oppure compie un atto contrario ai doveri del suo Ufficio.Nella concussione, quindi, il Pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico ufficio costringe un terzo a dare o promettere una qualche utilità
Ciò non accade nella corruzione dove, in cui, il soggetto privato è direttamente d’accordo con il pubblico Ufficiale nel dargli o promettergli denaro affichè questo compia un atto del suo ufficio o un attocontrario ai doveri d’ufficio.
La differenza tra concussione e corruzione si sostanza nella pena che il legislatore ha previsto.
La legge prevede la punizione anche per il corruttore e l’istigatore alla corruzione.

Un’ altra differenza è che il Pubblico Ufficiale risponde sempre penalmente alla corruzione e alla concussione, metre l’incaricato di un publico servizio risponde penalmente alla corruzione soltanto se ricopre la qualità di pubblico impiegato

Qual’è la differenza tra il procedimento e il processo penale

Si usa la locuzione Procedimento Penale, per indicare, generalmente, il tema di cui si sta trattando, e per indicare anche la fase iniziale delle indagini preliminari

Il processo penale sorge, nel momento in cui il P.M. (Public Ministero) esercita l’azione penale, cioè ne momento in cui l’indagato diventa imputato.
Ne consegue anche l’iscrizione nel registro dei carichi pendenti.

In sostanza, quindi, tale differenza è dovuta all’esatta nomenclatura delle diverse fasi del procedimento penale.Si usa la locuzione Procedimento Penale, per indicare, generalmente, il tema di cui si sta trattando, e per indicare anche la fase iniziale delle indagini preliminari

Il processo penale sorge, nel momento in cui il P.M. (Public Ministero) esercita l’azione penale, cioè ne momento in cui l’indagato diventa imputato.
Ne consegue anche l’iscrizione nel registro dei carichi pendenti.

In sostanza, quindi, tale differenza è dovuta all’esatta nomenclatura delle diverse fasi del procedimento penale.

Indagato e imputato: quali differenze?

Si acquista la qualità di “indagato” nel momento in cui l apersona è inscritta nell’apposito registro degli indagati. (art. 335 C.P.)

Per poter indagare una persona, quindi, il Pubblico Ministero deve inscriverla nel “Registro delle notizie di reato”.

L’art.60 del C.p.p. dichiara che una persona acquista la qualità di imputato quando viene fatta nei suoi confronti la richiesta di rinvio a giudizio, oppure di giudizio immediato o di decreto penale di condanna.
Ancora per decreto di citazione diretta a giudizio, per decreto di applicazione della pena, ovvero il decreto di giudizio direttissimo

Mentre l’indagato è solo una persona sottoposta ad indagini preliminari, l’imputato è una persona che è sottoposta in tutto e per tutto ad un processo penale.

Qual’è la differenza tra la rapina, il furto, la truffa e l’estorisione.

Tutti sono detti “delitti contro il patrimonio”.

La rapina è disciplinata dall’art.628 del Codice Penale. E’ commessa da chiunque, si impossessa della cosa altrui, attraverso violenza “alla persona”, per procurarsi o per procurare ad altri un “ingiusto profitto”.

Il furto viene commesso da chiunque si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola quindi al proprietario al fine di trarne un proprio profitto o per altri.(art. 624 C.P.)

L’interesse giuridico è di tutelare il patimonio, per la rapina deve essere tutelata anche l’incolumità personale.

Le condotte della rapina e del furto sono simili per certi aspetti: entrambe richiedono che qualcuno di impossessi della cosa mobile altrui.
Se ne differenziano, tuttavia perchè nella rapina c’è una condotta di violenza “alla persona”, ciò che non accade nel furto.
Per il furto poi, è sufficiente il fine del profitto, mentre nella rapina si parla di “ingiusto profitto”.

L’estorsione è commessa attraverso violenza o minaccia, da chiunque costringe un altro a fare oppure ad omettere qualche cosa, in modo da procurasi dei profitti ingiusti per se stesso o ad altri.
L’estorsione ha elementi di contatto sia con la rapina che con il furto perchè richiede violenza alle cose e alle persone.

La truffa viene commessa con raggiri ed artefici da chiunque che induce un altro in errore, procurando a se stesso e agli altri un ingiusto profitto e danni alla persona truffata.
La condotta della truffa è palesemente diversa dall’estorsione: il reo per ottenere lo scopo voluto, induce in errore la persona offesa, non ,o costringe a fare qualcosa mediante violenza o minaccia, come è richiesto appunto per l’estorsione.

Errore giudiziario e riparazione

L’errore giudiziario è la scoperta dell’ingiustizia di una sentenza irrevocabile di condanna.
Esso si scopre attraverso l’impugnazione straoridinaria della revisione.

La Costituzione richiede al legislatore stesso di determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Per la riparazione dell’errore giudiziario possiamo descrivere sia presupposti negativi che positivi.

Il presupposto positivo è il proscioglimento in sede di revisione.
I casi di revisione del processo sono i seguenti:

il contrasto tra giudici penali
la scoperta di nuove prove
il contrasto tra giuduice penale e civile o amministrativo.
I presupposti negativi:

il diritto alla riparazione è escluso per la parte della pena detentiva computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso.
chi è stato prosciolto in sede di revisione non deve aver dato causa per dolo o o per colpa grave all’errore giudiziario.
Quantificazione del danno
La quantificazione del danno esistenziale da errore giudiziarioè legata a un duplice ordine di fattori:

alla genericità dell’espressione utilizzata dal legislatore nelle indicazioni dei parmetri di riferimento per la commisurazione dell’entità della riparazione
alla considerazione che non si può parlare di risarcimento del danno da errore giudiziario m adi indennità o indennizzo
La riparazione dell’errore giudiziario non ha natura di isarcimento del danno ma di semplice indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi è stato privato della libertà personale o condannatoingiustamente.

FAQ Diritto Civile

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COS’È IL PROCESSO CIVILE?

WHO WE ARE

In breve possiamo affermare che il processo civile è quello strumento messo a disposizione dall’Ordinamento per risolvere le “liti” tra cittadini.

COME SI INIZIA UN PROCESSO CIVILE?

WHO WE ARE

Il processo si attiva su impulso di una parte che, mediante apposito atto (citazione o ricorso), indica quali sono le proprie rivendicazioni, formulando apposite richieste all’Autorità Giudiziaria che dovrà decidere.

È VERO CHE IL GIUDICE DI PACE TRATTA LE CAUSE PIÙ SEMPLICI, MENTRE IL TRIBUNALE SI OCCUPA DELLE QUESTIONI PIÙ COMPLESSE?

WHO WE ARE

No. Le regole per la competenza non fanno distinzione tra cause “semplici” e cause “complesse”. La differenza è fatta in base al valore delle richieste oppure ripartita tra GdP e Tribunale in base a specifiche materie.

L’art. 7 del codice di procedura civile dispone che “il Giudice di pace è competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a 5.000,00 euro, quando dalla legge non sono attribuite alla competenza di altro giudice”. Il Giudice di pace è altresì competente per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti purché il valore della controversia non superi 20.000,00 euro. Inoltre, a prescindere dal valore della causa, è competente in alcune materie attribuitegli espressamente. Trattasi, in particolare, delle cause relative ad apposizioni di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento di alberi e siepi, delle cause relative alla misura ed alle modalità d’uso dei servizi di condominio di case ed infine di quelle attinenti i rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.

QUANTO DURA UN PROCESSO CIVILE?

WHO WE ARE

E’ molto difficile prevedere la durata di un processo. Infatti se pure il codice di procedura civile delinea un iter processuale “standard ” con propri tempi ed udienze è possibile che lo stesso venga dilatato a causa di rinvii processuali per tentare una conciliazione fra le parti, o per consentire al CTU, ove ne sia stato richiesto l’intervento, di redigere la propria relazione. Ancora, la fase istruttoria, vero e proprio cuore del processo, può essere breve o pressoché inesistente, se la causa è basta solo su prove documentali, o molto lunga se ci sono numerosi testi da sentire. Ad ogni modo, mediamente, un processo in primo grado dura tra i due ed i quattro anni. Per questo, se possibile, è opportuno valutare la possibilità di una soluzione transattiva.

Per quanto riguarda la fase di Appello, le tempistiche dipendono quasi esclusivamente dal carico di lavoro dell’autorità giudiziaria competente

QUALI SONO I POSSIBILI ESITI DI UNA CAUSA CIVILE?

WHO WE ARE

Il Giudice può accogliere, così come respingere, tutte le richieste formulate. Può inoltre accogliere o respingere PARZIALMENTE le domande svolte. La regolazione delle spese di lite segue generalmente l’esito della causa e pertanto potremmo avere:

sentenza di pieno accoglimento con condanna alla controparte di pagamento delle spese di lite
sentenza di pieno rigetto, con condanna al pagamento delle spese
sentenza di parziale accoglimento (o parziale rigetto), con regolazione delle spese frazionata tra le parti in ragione della parziale soccombenza.

QUANTO COSTA UNA CAUSA CIVILE?

WHO WE ARE

Lo Studio legale Carandente Giarrusso aderisce alla delibera dell’unione triveneta dei consigli dell’Ordine degli Avvocati in materia di accordi trasparenti.

E pertanto forniamo al cliente il preventivo dei compensi facendo riferimento ai parametri previsti dal Decreto del Ministero della Giustizia n. 55/2014 (pubblicato nella G.U. n.77 del 2 aprile 2014) e proponendo modalità di pagamento adeguate al tipo di procedura ed alle esigenze del cliente stesso.

CI SONO DELLE REGOLE A CUI GLI AVVOCATI, NELLO SVOLGERE LA PROPRIA PROFESSIONE, DEVONO ATTENERSI?

WHO WE ARE

Esiste un codice deontologico che stabilisce le regole a cui avvocati e praticanti devono attenersi nella loro attività, nei loro reciproci rapporti e nei confronti di terzi. La violazione delle norme del codice deontologico può comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari.

L’AVVOCATO HA UN DOVERE DI INFORMAZIONE NEI CONFRONTI DEL PROPRIO ASSISTITO?

WHO WE ARE

L’art. 40 del codice deontologico stabilisce che “l’avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili. L’avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l’assistito ne faccia richiesta. Se richiesto è obbligo dell’avvocato a informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo”.

PERCHÉ BISOGNA “PAGARE” PER POTER FARE UNA CAUSA?

WHO WE ARE

L’Ordinamento, anche al fine di prevenire inutili contenziosi, con conseguente sovraccarico ed intasamento dei Tribunali pone, a carico di chi agisce in giudizio alcuni oneri. Tali oneri sono sostanzialmente il pagamento del Contributo Unificato, ovvero una somma di denaro calcolata in base al valore della causa, e l’imposta di bollo, ovvero una marca fissa di importo pari ad € 27,00. Tali esborsi consentono alla macchina della giustizia di sostenersi e vengono generalmente posti a carico della parte soccombente all’esito del giudizio.

IN CASO DI VITTORIA SI RECUPERANO TUTTE LE SPESE SOSTENUTE?

WHO WE ARE

La risposta a questa domanda è complessa. In linea teorica e di principio l’Ordinamento prevede che tutti i costi (comprese le parcelle degli avvocati) siano posti a carico della parte soccombente. Può tuttavia accadere che il Giudice, in presenza di determinate condizioni – ritenga opportuna la cosiddetta “compensazione” delle spese. Ciò comporta che, pur in caso di vittoria – o di parziale vittoria – ciascuna parte si faccia carico delle spese sostenute nel proprio interesse.

Il quadro cambia all’atto pratico, soprattutto quando la controparte, seppur condannata alla refusione delle spese, sia di fatto insolvente

CHE GARANZIE DI VITTORIA ESISTONO?

WHO WE ARE

L’avvocato non può fornire nessun tipo di garanzia di vittoria al proprio assistito. Per questo motivo, nell’impostazione di una causa, è bene conoscere sempre quali sono i possibili esiti – anche da un punto di vista economico.

SI PUÒ STARE IN GIUDIZIO SENZA L’ASSISTENZA DI UN AVVOCATO?

WHO WE ARE

Solo nelle cause davanti al giudice di pace il cui valore non eccede 1.100,00 euro e nelle cause di lavoro il cui valore non eccede 129,11 euro. Inoltre, possono stare in giudizio personalmente nei procedimenti di separazione consensuale. In tutti gli altri casi occorre farsi rappresentare da un legale.

QUALI SONO I POSSIBILI ESITI DI UNA CAUSA CIVILE?

WHO WE ARE

Il Giudice può accogliere, così come respingere, tutte le richieste formulate. Può inoltre accogliere o respingere PARZIALMENTE le domande svolte. La regolazione delle spese di lite segue generalmente l’esito della causa e pertanto potremmo avere:

sentenza di pieno accoglimento con condanna alla controparte di pagamento delle spese di lite
sentenza di pieno rigetto, con condanna al pagamento delle spese
sentenza di parziale accoglimento (o parziale rigetto), con regolazione delle spese frazionata tra le parti in ragione della parziale soccombenza.

QUALI SONO I POSSIBILI ESITI DI UNA CAUSA CIVILE?

WHO WE ARE

Il Giudice può accogliere, così come respingere, tutte le richieste formulate. Può inoltre accogliere o respingere PARZIALMENTE le domande svolte. La regolazione delle spese di lite segue generalmente l’esito della causa e pertanto potremmo avere:

sentenza di pieno accoglimento con condanna alla controparte di pagamento delle spese di lite
sentenza di pieno rigetto, con condanna al pagamento delle spese
sentenza di parziale accoglimento (o parziale rigetto), con regolazione delle spese frazionata tra le parti in ragione della parziale soccombenza.

FAQ Diritto di Famiglia

QUAL È LA DIFFERENZA TRA SEPARAZIONE CONSENSUALE E SEPARAZIONE GIUDIZIALE?

WHO WE ARE

La separazione consensuale è possibile soltanto se tra i coniugi viene raggiunto un accordo sulle condizioni che dovranno reggere i rapporti personali e patrimoniali reciproci e i rapporti di ciascuno con i figli. Se l’accordo non viene raggiunto, la separazione sarà inevitabilmente giudiziale, nel senso che le condizioni della separazione verranno stabilite dal tribunale. L’accordo è possibile anche durante lo svolgimento del giudizio; in tal caso, la separazione, avviata come giudiziale, verrà definita come consensuale. La separazione consensuale è preferibile poichè riduce tempi e costi, oltre a favorire rapporti più sereni tra le parti.

È VERO CHE OGGI È POSSIBILE SEPARARSI E DIVORZIARE ANCHE SENZA RIVOLGERSI AL GIUDICE?

WHO WE ARE

Sì, a partire dal dicembre 2014 è possibile separarsi, come pure divorziare evitando la procedura davanti al tribunale.

Si tratta di una procedura semplificata, denominata “negoziazione assistita”. Essa si svolge e si conclude con l’assistenza degli avvocati, i quali, una volta firmato l’accordo tra marito e moglie, trasmettono detto accordo alla Procura della Repubblica per un controllo di regolarità.

Dopodiché, l’accordo viene pubblicato nei registri dello stato civile. La separazione il divorzio si intendono perfezionati fin dal momento della firma dell’accordo.

LA PROCEDURA DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA È POSSIBILE ANCHE QUANDO I CONIUGI HANNO FIGLI?

WHO WE ARE

Sì, la separazione semplificata (e così pure il divorzio) mediante negoziazione assistita dagli avvocati è possibile anche in presenza di figli, e anche quando i figli sono minori di età oppure maggiorenni ma economicamente non autonomi, o portatori di handicap grave.

In questi casi, tuttavia, una volta che l’accordo è stato concluso e trasmesso al Procuratore della Repubblica, può accadere che il Procuratore lo ritenga non conforme all’interesse dei figli minori, e lo trasmetta al Presidente del tribunale. Questi convoca le parti entro i successivi 30 giorni.

Nel migliore dei casi, e cioè quando sia possibile raggiungere subito l’accordo, l’iter potrebbe concludersi anche in poche settimane.

LE CONDIZIONI DELLA SEPARAZIONE POSSONO ESSERE MODIFICATE IN UN MOMENTO SUCCESSIVO?

WHO WE ARE

Sì, è possibile modificare quanto già concordato in sede di separazione consensuale o deciso dal giudice. Qualora sussista l’accordo delle parti ciò può avvenire anche mediante la procedura di negoziazione assistita.

Occorre, però, che nella situazione di fatto siano intervenute variazioni che giustificano la revisione delle regole vigenti, come per esempio il trasferimento di uno dei coniugi con il figlio in una città lontana oppure il mutamento della condizione economica di uno dei due.

L’ABBANDONO DEL TETTO CONIUGALE È CAUSA DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE?

WHO WE ARE

Nel nostro Ordinamento non è più previsto il reato di abbandono del tetto coniugale. Per verificare le cause di addebito della separazione occorre valutare, tuttavia, la singola fattispecie per verificare se vi siano state condotte contrarie ai doveri nascenti dal matrimonio che rappresentino la causa della fine dell’unione coniugale.

VORREI DIVORZIARE: COSA DEVO FARE? A CHI SPETTA IL MANTENIMENTO?

WHO WE ARE

Prima di divorziare bisogna procedere con le pratiche per la separazione, che può essere consensuale, quando c’è accordo tra i coniugi, o giudiziale, nel caso contrario. Dopo sei mesi dall’udienza di comparizione davanti al giudice della separazione se consensuale o dopo un anno se giudiziale, e sempreché sia stata pronunciata la relativa sentenza, si può chiedere il divorzio. Il divorzio comporta la fine del matrimonio, ovverossia il venir meno del vincolo coniugale.

Rimane, però, un vincolo di solidarietà sul piano economico, da cui sorge il diritto all’assegno divorzile per il coniuge che non abbia mezzi economici adeguati a conservare il tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.

L’accertamento del giudice deve tenere conto non solo del reddito lavorativo, ma di ogni genere di entrata, compresa la titolarità di cespiti patrimoniali.

VORREI RISPOSARMI MA È IN CORSO DA ANNI LA CAUSA DI SEPARAZIONE: POSSO ACCELERARE I TEMPI PER IL DIVORZIO?

WHO WE ARE

Sì, è possibile accelerare i tempi del divorzio chiedendo, nella causa di separazione, una sentenza parziale: in tal caso, pur proseguendo la causa di separazione per definire le questioni in gioco (quali affidamento dei figli e assegno di mantenimento) è consentito introdurre contemporaneamente il giudizio per il divorzio.

In ogni caso, è imprescindibile che sia trascorso un anno dalla comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale nel giudizio di separazione e che sia stata pronunciata sentenza definitiva di separazione in punto status.

A QUALE DEI CONIUGI SPETTA L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE?

WHO WE ARE

Nel nuovo assetto determinato dalla legge n. 54/2006 (cd. legge sull’affidamento condiviso), resta salvo il principio per cui la casa familiare viene assegnata tenendo conto, prioritariamente, delle esigenze dei figli. Ciò comporta che la casa venga assegnata al genitore presso il cui quale continuerà ad abitare il figlio (minorenne o maggiorenne non economicamente autonomo).

L’elemento di novità rispetto al sistema previgente è dato dalla previsione esplicita che l’assegnazione della casa all’uno o all’altro coniuge costituisce fattore di rilievo economico, di cui il giudice deve tenere conto nella determinazione dell’assetto economico della separazione.

Qualora non vi siano figli, l’abitazione familiare non può essere assegnata ad alcuno dei coniugi.

STO PER SEPARARMI, CHE DIRITTI HANNO I MIEI FIGLI?

WHO WE ARE

La legge prevede oggigiorno, a seguito della riforma intervenuta nel 2006, l’affidamento condiviso dei figli, come regola generale.

L’affidamento condiviso è essenziale per garantire ai figli la cd. bigenitorialità, e cioè un apporto paritario, da parte dei genitori, sia sul piano relazionale-affettivo, sia sul piano educativo.

Sono possibili deroghe in casi del tutto eccezionali, tra i quali non può farsi rientrare la conflittualità tra i genitori. Se così fosse – come ha spiegato la Cassazione – l’eccezione dovrebbe diventare regola, dato l’elevatissimo numero di separazioni conflittuali.

IL MANTENIMENTO DEI FIGLI, COME DEVE ESSERE REGOLATO NELLA SEPARAZIONE?

WHO WE ARE

Anche per il mantenimento dei figli la riforma sull’affidamento condiviso ha apportato importanti modifiche.

Non vale più la regola per cui spetta al genitore non affidatario (generalmente il padre) corrispondere all’altro un assegno mensile, ma questo assegno – detto oggi ‘perequativo’ – è dovuto soltanto se sussista una sostanziale disparità di reddito tra i genitori. Dovrebbe valere, in generale, il criterio del mantenimento diretto.

Per determinare l’ammontare dell’ assegno perequativo, occorre poi fare riferimento ad una serie di parametri indicati dalla legge, tra cui i tempi di permanenza del figlio presso l’uno e l’altro genitore e altresì la disponibilità della casa familiare.

MIO FIGLIO NON VUOLE PIÙ VEDERMI: COSA POSSO FARE?

WHO WE ARE

Il rifiuto del figlio di incontrare uno dei genitori non è raro, e si ricollega ad una molteplicità di motivi. Tra questi va compreso talvolta il condizionamento, magari involontario, dell’altro genitore.

Quando il problema si verifica, non bisogna restare passivi, dato che più tempo passa, più è probabile che la situazione si cristallizzi. L’ordinamento contempla vari strumenti, tra i quali l’avvocato dovrà orientarsi a seconda della situazione specifica.

Talvolta, nei casi più gravi, insorge una vera e propria sindrome descritta dalla letteratura scientifica, che va sotto il nome di PAS O SAP (sindrome di alienazione parentale), e da accertarsi in sede peritale, con una consulenza tecnica.

Con la riforma del 2006 è stata introdotta la possibilità di ricorrere al giudice nel caso in cui l’altro genitore violi le disposizioni sull’affidamento condiviso, o si renda autore di gravi inadempienze: il giudice può ammonire il responsabile o comminare a suo carico una sanzione pecuniaria o anche condannarlo al risarcimento del danno arrecato al figlio e/o al coniuge.

COSA POSSO FARE SE IL GENITORE NON VERSA IL MANTENIMENTO E/O LE SPESE STRAORDINARIE?

WHO WE ARE

Nel caso di inadempimento rispetto all’obbligo di mantenimento è necessario procedere al recupero mediante atto di precetto (procedura agile e soprattutto efficace nel caso di lavori dipendenti), nel caso di mancata corresponsione della quota di spese straordinarie sostenute per i figli, è necessario invece agire con ricorso per decreto ingiuntivo. In caso di persistenza nell’inadempimento, è possibile ottenere il recupero coattivo delle somme dovute mediante pignoramento (mobiliare, immobiliare o presso terzi), nonché ottenere strumenti di tutela futura (ad esempio il sequestro di beni del genitore obbligato).

DUBITO SERIAMENTE CHE IL BAMBINO CHE PORTA IL MIO COGNOME NON SIA MIO FIGLIO: CHE FARE?

WHO WE ARE

In tal caso, è possibile chiedere il disconoscimento della paternità. Il relativo giudizio è volto ad accertare, mediante prove testimoniali ed esami emato-genetici la sussistenza del rapporto di filiazione tra il minore e colui che allo stato è il padre legittimo.

A COSA SERVE L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO?

WHO WE ARE

L’amministrazione di sostegno è una misura di protezione, introdotta con la legge n. 6 del 2004, che ha lo scopo di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, senza però mortificarle.

L’ amministrazione di sostegno interviene, in altri termini, a supporto di quei soggetti che non appaiono in grado di (o che incontrano serie difficoltà nel) compiere gli atti e le operazioni della vita quotidiana e di curare i propri interessi.

L’amministratore di sostegno è, dunque, una persona nominata dal giudice tutelare che affianca o, a seconda dei casi, sostituisce il cd. beneficiario nel compimento degli atti della vita di ogni giorno.

FAQ Diritto Fallimentare

CHI È SOGGETTO AL FALLIMENTO?

WHO WE ARE

In base all’art. 1 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dal D.Lgs. 12 Settembre 2007, n. 169, sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.

Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:

aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
I limiti previsti possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia, sulla base della media delle variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati intervenute nel periodo di riferimento.

È inoltre previsto, all’articolo 15, comma 9, che non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato.

CHI SONO I SOGGETTI LEGITTIMATI A RICHIEDERE IL FALLIMENTO?

WHO WE ARE

La dichiarazione di fallimento può essere promossa (art. 6 L.F.):

su ricorso di uno o più creditori
su richiesta dello stesso debitore in stato di insolvenza
su istanza del Pubblico Ministero quando ravvisi e provi un interesse generale di tutti i creditori
Competente a decidere sulla richiesta di fallimento è il tribunale del luogo ove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa (art. 9 L.F.).

È POSSIBILE OPPORSI ALLA RICHIESTA DI FALLIMENTO?

WHO WE ARE

A seguito della presentazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento viene dato inizio, da parte del tribunale, ad un procedimento definito di istruttoria prefallimentare, nel quale vengono analizzati i presupposti in base ai quali è stata presentato il ricorso e le eventuali opposizioni. La procedura è analiticamente descritta all’interno dell’art. 15 Legge Fallimentare.

Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.

Il tribunale convoca il debitore ed i creditori istanti per il fallimento. Nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.

Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.

QUALI SONO GLI EFFETTI DELLA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO?

WHO WE ARE

La sentenza che dichiara il fallimento produce una serie di effetti di natura privata, processuale e penale, tanto nei confronti del fallito, quanto riguardo ai creditori e ai terzi.

NEI CONFRONTI DEL FALLITO
Gli effetti per il fallito sono disciplinati dagli artt. 42-49 della legge fallimentare, così come modificata dalla novella del 2006.

Sostanzialmente, il fallito viene privato, a far data dalla dichiarazione di fallimento, della disponibilità e dell’amministrazione dei suoi beni, anteriori al fallimento e quelli che dovessero provenirgli durante la procedura.

A norma dell’art. 46 non sono compresi nel fallimento:

i beni ed i diritti di natura strettamente personale;
gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia;
i frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi, salvo quanto è disposto dall’articolo 170 del codice civile;
le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.
I limiti previsti nel primo comma, n. 2), sono fissati con decreto motivato del giudice delegato che deve tener conto della condizione personale del fallito e di quella della sua famiglia.

L’art. 44 dispone che tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.

Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.

Fermo quanto previsto dall’articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma.

A norma dell’art. 48 il fallito persona fisica è tenuto a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento.

L’art. 49 dispone che l’imprenditore del quale sia stato dichiarato il fallimento, nonché gli amministratori o i liquidatori di società o enti soggetti alla procedura di fallimento sono tenuti a comunicare al curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio.

Se occorrono informazioni o chiarimenti ai fini della gestione della procedura, i soggetti di cui al primo comma devono presentarsi personalmente al giudice delegato, al curatore o al comitato dei creditori.

In caso di legittimo impedimento o di altro giustificato motivo, il giudice può autorizzare l’imprenditore o il legale rappresentante della società o enti soggetti alla procedura di fallimento a comparire per mezzo di mandatario.

È importante notare che nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore. Il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un’imputazione di bancarotta a suo carico o se l’intervento è previsto dalla legge. L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo.(Art. 43 L.F.)

NEI CONFRONTI DEI CREDITORI
Il fallimento apre il concorso dei creditori
I debiti pecuniari e non pecuniari del fallito si considerano scaduti, agli effetti del concorso, alla data di dichiarazione del fallimento
Le somme spettanti ai creditori condizionati vengono accantonate
La dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali per gli effetti del fallimento
I crediti infruttiferi subiscono una decurtazione qualora il riparto avvenga prima della loro scadenza
Sono precluse le azioni individuali dei creditori sui beni del fallito (art. 51 L.F.)
III. NEI CONFRONTI DEI TERZI (v. revocatoria fallimentare)

Gli atti a titolo oneroso (nonché i pagamenti e le garanzie) compiuti dal fallito nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento e che presentino delle irregolarità (ad es. la vendita di un bene ad un prezzo sensibilmente inferiore al valore di mercato) sono dichiarati inefficaci e revocati
Gli atti a titolo oneroso (nonché i pagamenti e le garanzie) compiuti dal fallito nei sei mesi antecedenti alla dichiarazione di fallimento che non presentino delle irregolarità, quando il curatore provi che l’altra parte era a conoscenza dello stato di insolvenza, sono dichiarati inefficaci e revocati
Gli atti che non rientrano nelle categorie precedenti possono essere revocati con l’azione ordinaria di cui all’art. 2901 c.c.
Nell’ambito di una procedura fallimentare, il curatore svolge una pluralità di compiti ad esso assegnati dalla legge.

In tal senso, l’art. 31 comma 1 L.F. dispone che il curatore ha l’amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ambito delle funzioni ad esso attribuite.

A seguito della propria nomina, il curatore è tenuto a numerosi incombenti previsti espressamente agli artt. 33, 34 e 35 L.F.

Per quanto riguarda le responsabilità del curatore, l’art. 38 L.F. prevede che il curatore adempia ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico. Egli deve tenere un registro preventivamente vidimato da almeno un componente del comitato dei creditori, e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione. Durante il fallimento l’azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, ovvero del comitato dei creditori. Il curatore che cessa dal suo ufficio, anche durante il fallimento, deve rendere il conto della gestione a norma dell’articolo 116 L.F.

IL FALLITO PUÒ CONTINUARE L’IMPRESA?

WHO WE ARE

L’art. 104 L.F. in merito dispone che Con la sentenza dichiarativa del fallimento, il tribunale può disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, se dalla interruzione può derivare un danno grave, purché non arrechi pregiudizio ai creditori.

Successivamente, su proposta del curatore, il giudice delegato, previo parere favorevole del comitato dei creditori, autorizza, con decreto motivato, la continuazione temporanea dell’esercizio dell’impresa, anche limitatamente a specifici rami dell’azienda, fissandone la durata.

Durante il periodo di esercizio provvisorio, il comitato dei creditori è convocato dal curatore, almeno ogni tre mesi, per essere informato sull’andamento della gestione e per pronunciarsi sull’opportunità di continuare l’esercizio.

Se il comitato dei creditori non ravvisa l’opportunità di continuare l’esercizio provvisorio, il giudice delegato ne ordina la cessazione.

Ogni semestre, o comunque alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio, il curatore deve presentare un rendiconto dell’attività mediante deposito in cancelleria. In ogni caso il curatore informa senza indugio il giudice delegato e il comitato dei creditori di circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell’esercizio provvisorio.

Il tribunale può ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio in qualsiasi momento laddove ne ravvisi l’opportunità, con decreto in camera di consiglio non soggetto a reclamo sentiti il curatore ed il comitato dei creditori.

Durante l’esercizio provvisorio i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli.

I crediti sorti nel corso dell’esercizio provvisorio sono soddisfatti in prededuzione.

COS’È LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA?

WHO WE ARE

L’istituto della liquidazione Coatta Amministrativa, disciplinato dagli artt. 194-215 L.F., nonché da numerose leggi speciali, è previsto per particolari categorie di imprese (banche, imprese assicurative, consorzi obbligatori, società di revisione e fiduciarie, S.I.M. ecc.), per gli interessi che soddisfano, o perché partecipate dallo Stato. I presupposti per l’applicazione di tale procedura sono vari, individuati dalla Legge Fallimentare e dalle leggi speciali. Anche la liquidazione stessa delle imprese avviene, non da parte dell’autorità giudiziaria, ma di quella amministrativa.