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Irreperibilità del destinatario: il notificante deve cercare oltre i registri anagrafici

L’ordinaria diligenza, alla quale il notificante è tenuto a conformare la propria condotta, esige che le indagini, relative alla reperibilità del destinatario dell’atto, non si arrestino alle risultanze dei registri anagrafici.

Lo ha ribadito la Cassazione con l’ordinanza n. 29671/2017 qui sotto allegata.

Nel caso esaminato, La Corte d’Appello aveva rigettato il gravame di un uomo contro la sentenza del Tribunale che aveva pronunciato la separazione personale dello stesso dalla moglie, affidando a quest’ultima il figlio minore e disponendo a suo carico l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio mediante un assegno mensile. Egli aveva pertanto impugnato avanti la Cassazione detto provvedimento, lamentando la nullità della sentenza e del procedimento, ritenendo che la Corte d’Appello avesse erroneamente escluso la nullità della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado: secondo l’uomo, infatti, la notificazione era stata effettuata ad un presunto indirizzo in Italia, nonostante la conoscenza da parte della moglie dell’avvenuto trasferimento del medesimo in Romania.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, rilevando che per la legittimità della notificazione del ricorso non è sufficiente il mero tentativo di notifica all’indirizzo indicato né il mero fatto che l’ufficiale giudiziario non conosca la residenza, la dimora o il domicilio del destinatario dell’atto, «occorrendo altresì la prova che la condizione di ignoranza non è superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi con l’ordinaria diligenza».

La Suprema Corte ha evidenziato, altresì, che l’ordinaria diligenza richiesta al notificante esige che le indagini sulla reperibilità del destinatario dell’atto non si limitino a quello che emerge dai registri anagrafici, ma comprendono tutte le situazioni in cui si ritiene, «secondo una presunzione fondata sulle ordinarie manifestazioni delle cura che ciascuno ha dei proprio affari ed interessi», siano reperibili informazioni lasciate dallo stesso soggetto interessato, le quali consentono ai terzi di conoscere l’attuale domicilio.

Alla luce di tali considerazioni, nella fattispecie concreta, la Corte ha ritenuto che la sentenza della Corte d’Appello impugnata, nell’escludere la nullità della notificazione del ricorso introduttivo, non si fosse uniformata a questi principi, anche in quanto la relata di notifica non recava alcuna prova delle ricerche effettuate dall’ufficiale giudiziario nonostante i dubbi circa il trasferimento del destinatario ammessi dall’altro coniuge

Il ricorso dell’uomo è pertanto stato accolto.

Cassazione Civile, 12.12.2017, n. 29671

Cassazione Civile, 12-12-2017, n. 29671

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Decreto ingiuntivo: il disconoscimento di documenti va fatto con l’opposizione

La fotocopia di documenti allegati al ricorso per decreto ingiuntivo si ha per riconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale, quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte non la disconosce in modo specifico e non equivoco con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo.

La Corte di Cassazione ha espresso detto principio in un caso in cui un condominio aveva ottenuto dal Giudice di Pace un decreto ingiuntivo nei confronti di una s.r.l. per spese condominiali scadute. La società aveva proposto opposizione al decreto ingiuntivo, che era stata rigettata dal Giudice di Pace. Proposto dunque appello, il Tribunale aveva confermava la sentenza di primo grado, respingendo le difese della debitrice, la quale ha in seguito proposto ricorso in Cassazione.

La Corte ha ritenuto infondate le doglianze prospettate. In particolare, richiamandosi a precedenti pronunce, ha evidenziato che se la parte disconosce, ai sensi dell’art. 2719 c.c. solo la conformità della copia fotografica o fotostatica rispetto all’originale, ciò non impedisce al giudice di accertare tale conformità anche attraverso altri mezzi di prova. Invece, se la parte disconosce il contenuto della scrittura o della sua sottoscrizione, il producente dovrà allegare l’originale e chiederne la verificazione ex art. 216 c.p.c; dal punto di vista processuale, nel silenzio della norma in merito ai modi ed ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, trovano applicazione i precetti degli artt. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, la copia fotostatica non autenticata si considera riconosciuta – sia per la sua conformità all’originale, sia per in ordine alla scrittura e alla sottoscrizione – se la parte non la disconosca in modo completo, espresso e formale alla prima udienza o nella prima difesa successiva alla sua produzione, che, nel caso dell’opposizione a decreto ingiuntivo, non può che individuarsi nell’atto di citazione in opposizione: è questa, infatti, la prima “sede” in cui il debitore, esaminati i documenti avversari, può svolgere le proprie difese.

Nel caso di specie, ad avviso della Corte di Cassazione, il Tribunale aveva correttamente ritenuto, tra l’altro, che le contestazione formulate dalla debitrice in merito ai documenti (trattavasi di delibere assembleari) fosse generica e – come tale – irrilevante: la società si era limitata ad affermare nel ricorso in Cassazione che la sua contestazione nei gradi di merito era stata “totale”, salvo in realtà nell’atto di citazione in opposizione limitarsi ad un generico disconoscimento di “tutte le fotocopie depositate” e “della delibera” in quanto non certificate da pubblici ufficiali.

Alla luce di ciò le doglianze della ricorrente sono state respinte ed il ricorso cassato.

Cassazione Civile, 16.11.2017, n. 27233

Cassazione Civile, 16-11-2017, n. 27233

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Separazione consensuale: annullabile la clausola sui trasferimenti immobiliari

E’ annullabile la clausola del decreto di omologa della separazione consensuale dei coniugi che contiene disposizioni sulla divisione degli immobili.

Lo ha stabilito il Tribunale di Palermo con la sentenza depositata il 14.09.2017 qui sotto allegata.

Nel caso deciso, due coniugi avevano presentato ricorso per separazione consensuale presso il competente Tribunale e nelle condizioni di separazione avevano regolamentato anche la divisione della comunione e dei beni immobili detenuti in costanza di matrimonio. In seguito all’avvenuta omologa della separazione da parte del Tribunale erano emersi fatti che avevano determinato un minor valore degli immobili: essi, infatti, non potevano essere alienati così come si trovavano, in quanto in contrasto con disposizioni attenenti regole di edilizia pubblica.

La moglie, pertanto, aveva convenuto in giudizio il marito, chiedendo l’annullamento della clausola dell’atto omologato che disponeva in merito agli immobili nonché la corresponsione di somme di denaro, da un lato, a titolo di risarcimento del danno e, dall’altro, a copertura del mancato guadagno che non le era pervenuto per l’inalienabilità dei beni.

Il Tribunale ha osservato che l’omologa, di per sè, non può escludere l’esistenza di vizi della volontà delle parti, e pertanto devono trovare applicazione per la separazione consensuale omologata i rimedi contrattuali per i vizi del consenso.

Ha altresì rilevato che la separazione consensuale omologata, costituisce una fattispecie complessa, per cui il regolamento basato sull’accordo tra i coniugi (di natura privatistica) acquista efficacia giuridica solo attraverso il provvedimento di omologazione (di natura pubblicistica): nello specifico, la separazione consensuale omologata è essenzialmente costituita dalla volontà concorde dei coniugi di separarsi e la successiva omologazione assume una valenza di semplice condizione (sospensiva) di efficacia delle pattuizioni contenute in tale accordo.

Il Tribunale ha, pertanto, annullato solo la clausola relativa alla divisione dei beni immobili, lasciando inalterata l’efficacia dell’accordo dei coniugi in sé, con permanenza della proprietà comune dei beni, che gli stessi avrebbero dovuto regolare in separata sede.

Tribunale di Palermo, 14.09.2017

Tribunale di Palermo, 14-09-2017

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Processo penale: inammissibile il deposito telematico della lista testi

Il caso: il ricorrente in Cassazione chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale che lo ha dichiarato colpevole del reato di esercizio della caccia mediante richiami acustici a funzionamento elettromagnetico, e lo ha condannato alla pena di 1.000,00 euro di ammenda.

Con il primo motivo, lamentando la mancata ammissione dei testimoni indicati nella propria lista tempestivamente depositata a mezzo pec, eccepisce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d), la violazione dell’art. 495 c.p.p., comma 2: in particolare egli lamenta la mancata ammissione della lista dei testimoni depositata a mezzo PEC e la affermazione della sua responsabilità fondata esclusivamente su una prova documentale non genuina.

Gli Ermellini, in punto di deposito telematico della lista testi, ritengono infondata la doglianza sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • deve essere escluso che il “deposito” della lista testimoniale di cui all’art. 468 c.p.p., comma 1, possa essere effettuato con modalità diverse da quelle previste a pena di inammissibilità; in assenza di norme derogatorie o che comunque lo consentano espressamente, il “deposito” della lista testimoniale non può perciò essere effettuato con modalità telematiche (espressamente previste, invece, per il processo civile);
  • la trasmissione della lista a mezzo posta elettronica certificata onera la cancelleria che la riceve della attività di stampa e materiale deposito dell’atto con modalità nemmeno temporalmente scandite, con conseguente possibilità di ulteriore abbreviazione del termine previsto dall’art. 468 c.p.p., comma 1;
  • la lista testimoniale non è indirizzata solo al giudice, ma anche alle parti che possono chiedere di essere ammessi a prova contraria e devono essere messe in condizione di farlo: l’inesistenza, nel processo penale, di un fascicolo informatico impedisce alle altri parti di accedervi in tempo reale e consultare immediatamente gli atti depositati con modalità telematiche;
  • il “deposito telematico”, inoltre, necessita dell’indicazione di regole precise in ordine alle modalità e tempestività dell’adempimento che, previste per il processo civile, sono del tutto assenti in quello penale; pertanto, non è consentito alle parti, pubbliche e private, di effettuare comunicazioni o notificazioni a mezzo posta elettronica certificata, nè adempimenti previsti con modalità la cui osservanza è stabilita a pena di inammissibilità;
  • alla stregua del suddetto principio, è stato quindi affermato che nel processo penale alle parti private non è consentito:a) proporre istanza di rimessione in termini a mezzo PEC dal difensore di fiducia dell’imputato (Sez. 1, n. 18235 del 28/01/2015);

    b) proporre ricorso per cassazione o appello perchè le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della posta elettronica certificata (Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016);

  • è stata ritenuta inammissibile anche l’impugnazione cautelare proposta dal P.M. mediante l’uso della posta elettronica certificata, in quanto le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., esplicitamente indicato dall’art. 309, comma 4, a sua volta richiamato dall’art. 310 c.p.p., comma 2, – e applicabili anche al pubblico ministero – sono tassative e non ammettono equipollenti, stabilendo soltanto la possibilità di spedizione dell’atto mediante lettera raccomandata o telegramma, al fine di garantire l’autenticità della provenienza e la ricezione dell’atto, mentre nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC (Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015).
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Riforma Processo penale, nuova legge in Gazzetta

È stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale di ieri come legge n. 103/2017, la legge di riforma del processo penale. Dopo un lungo e travagliato iter in Parlamento e varie modifiche al testo, il testo ha ricevuto l’ok definitivo circa 2 settimane fa.

Scarica il testo della legge di riforma penale definitivo e pubblicato sulla G.U. che entrerà in vigore dal prossimo 3 agosto.

Vediamo in breve tutte le novità introdotte dalla legge di riforma penale:

Aumento delle pene minime: per scippo e furto in abitazione la pena passa da 1 a 3 anni, per la rapina sale da 3 a 4 anni come reclusione minima. Il voto di scambio politico-mafioso, può prevedere una pena che va tra i 6 e 12 anni.

Reati contro i minori, prescrizione dal compimento del diciottesimo anno: per tutelare lo status dei soggetti minori vittime di reati gravi, che non sempre denunciano con tempestività il fatto, la nuova legge prevede che la prescrizione decorrerà dal compimento del diciottesimo anno.

Intercettazioni, tocca al pm stralciare le comunicazioni: con l’obiettivo di cercare un equilibrio tra obbligo dell’azione investigativa e tutela della riservatezza dei dati, la legge incarica il pubblico ministero del compito di stralciare le intercettazioni ritenute inutili ai fini processuali o con comunicazioni non relative all’oggetto del fascicolo. Previsto un decreto legislativo in merito alle modalità di utilizzo specifiche di questo delicato strumento.

Tempi di Prescrizione più lunghi per i reati di corruzione: la nuova legge n. 103/2017 stabilisce che dopo la sentenza di condanna in primo grado la clessidra della non punibilità di arresti per 18 mesi e lo stesso a seguito della sentenza di appello. Raddoppiati i tempi di prescrizione per il reato di corruzione.

Ricorsi: sanzioni pecuniarie in aumento per i ricorsi valutati inammissibili per alleggerire il carico negli uffici della Corte di Cassazione.

Poteri di Gup e Gip: la nuova legge di riforma del processo penale prevede che nell’udienza preliminare il potere del giudice non possa più esercitare la supplenza dei poteri-doveri di indagine del pm. Resta salva la facoltà del giudice di disporre l’acquisizione di prove decisive ai fini del proscioglimento dell’imputato.

Avocazione del pm: il pubblico ministero rischia di essere sollevato dalla procura generale, se entro 3 mesi dalla chiusura delle indagini non ha proseguito con archiviazione o rinvio a giudizio.

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